SPINACETO

Il progetto urbanistico di Spinaceto interessa un’area di oltre 190 ettari per un totale 2500000 metri cubi di costruito. I progettisti (L. Barbera, F. Battimelli, N. Di Cagno, D. Di Virgilio Francione, P. Moroni), lavorarono sulla compressione delle funzioni pubbliche e private del quartiere al fine di dare massima compattezza ed eterogeneità ai complessi residenziali e agli annessi servizi.
Questo programma, estremamente innovativo per l'epoca e coerente in modo quasi filologico con il mandato legislativo di cui fu il progetto pilota, puntava ad ottenere i seguenti vantaggi:

- Omogeneità tra spazi residenziali e attrezzature educative e aggregative, in modo da facilitare l’integrazione sociale e la partecipazione;

- Rapporto diretto tra residenze e la natura, in modo da consentire una vita più salubre garantendo inoltre a ogni appartamento l’affaccio sul verde;

- Alta concentrazione delle aree residenziali per consentire maggiore efficienza dei servizi e una consistente penetrazione del Parco Campagna nei nuclei costruiti.

Come spesso avvenne nell’urbanistica tra gli anni '60 e '80 - orfana (nel bene e nel male) del frainteso o mai compreso Le Corbusier - questo complesso confluire di sogni, esigenze burocratiche, funzionali, retoriche, generò qui molto prima che altrove un assetto planovolumetrico dall'accentuato carattere formale, una vera e propria operazione di land art, con segni e quinte molto forti e distinguibili sia alla quota terrena come a quella planimetrica.

Questa peculiare tendenza a tracciare grandi segni sul territorio, caratterizzò molto l'urbanistica italiana e venne definita dalla sintesi critica "urbarchitettura", a sottolineare appunto la scala urbanistica di certe macrostrutture polifunzionali. Gli insediamenti promossi dalla Legge 167 possiedono quasi tutti questa caratteristica, da Palermo ad Aosta. Ma a Roma vide senza dubbio le sue ipotesi e suoi episodi più estremi, spesso al confine con l'inabitabile - basti pensare al solo Cordiale. Osservando la città dal satellite sarà facile trovare molti episodi di questo tipo, e a quel punto raggiungerli e attraversarli sarà un'esperienza ancora più illuminante.

Ma torniamo a Spinaceto. La forma assegnata a questo organismo dai suoi progettisti fu quella di una gigantesca parentesi graffa stesa lungo la via Pontina. Ad essa vennero successivamente annessi i grandi tracciati circolari di Tor de’ Cenci. Il quartiere si struttura lungo due ampi sistemi viari su cui si innestano con diverse angolazioni i blocchi residenziali. Le spine centrali di questi assi furono pensate per ospitare i blocchi polifunzionali commerciali/abitativi (tipologia allora sperimentale e innovativa) parte di un inespresso “Centro Lineare” di cui abbiamo accenneremo più avanti. Il progetto prevedeva la realizzazione di ponti pedonali che dalla spina centrale avrebbero condotto i cittadini direttamente nel parco e quindi ai blocchi residenziali e ai servizi di prossimità in esso sono immersi.

Una forte differenziazione volumetrica scartò le palazzine di media altezza per privilegiare strutture alte (vere e proprie quinte affacciate sia sul parco che sull’asse centrale) e basse, dando ulteriormente all’insediamento un carattere deciso e in alcuni punti quasi scenografico.

La scelta di lasciare pressoché inalterata e selvaggia la preesistenza naturale (che in molti punti del quartiere arriva a toccare livelli estremamente significativi, quasi lirici) fu ben precisa, rifacendosi a teorie paesaggistiche nobili quanto radicali.

Continuità, compenetrazione e integrazione, sono quindi le linee forti di questo insediamento e questo carattere emerge soprattutto negli edifici e nell’impianto della prima fase costruttiva. Questa necessità impose quindi soluzioni progettuali meno appariscenti, per rispondere a quelle parole d’ordine e dare così la sensazione, nella sostanza e nella forma, che tutto fosse parte di un continuum.


Troppo bello per essere vero

Come abbiamo detto, Spinaceto ha rappresentato per Roma la prima esperienza di attuazione della famosa legge 167, il più grande intervento pubblico di edilizia popolare dopo la ricostruzione post-bellica. Alla base di questa nuova ondata di pianificazione c’era la necessità di costruire quartieri poco distanti dalle città, con un buon rapporto tra natura e costruito e capaci di dare accoglienza a un’ampia eterogeneità sociale.

Per la sola città di Roma furono realizzati 72 piani di zona per un totale di circa 700mila persone, l’equivalente di una grande città, in Italia ma non solo. Solo Spinaceto ne prevedeva oltre 35mila.

Oltre a essere uno degli interventi più grandi su scala nazionale, questo quartiere fu quindi un vero e proprio laboratorio, un banco di prova su cui testare l’attuazione di questa legge, oltre alle teorie più innovative distillate (almeno) nel corso dei circa cinquant’anni che precedettero la sua realizzazione. La sua vicenda fu anche per questo oggetto di notevole interesse anche a livello internazionale.

L’operazione ebbe inizio nel marzo ‘65, quando il Consiglio Comunale diede il via libera al relativo piano di zona. Il progetto urbanistico del quartiere fu presentato e approvato già nel luglio di quello stesso anno, a tempi record. Nell’aprile ‘67 il quartiere era già in costruzione.
Ampio spazio trovano nel progetto, e in parte della sua realizzazione, strutture e usi civici, parchi compresi (essendo l’area di urbanizzazione un'estesa proprietà agricola del Comune, fatto abbastanza raro a Roma) e servizi sociali annessi a ogni blocco residenziale, che il progetto aveva posto a garanzia di quell’integrazione sociale fortemente voluta dal mandato legislativo.

Questo complesso programma, già entro cinque anni dal varo, mutò paradossalmente nei suoi aspetti qualificanti e vide la principale causa proprio nel mancato investimento pubblico (anche nell’infrastrutturazione), con la conseguente frammentazione dell’intervento a tutto svantaggio dell’integrazione sociale e a vantaggio della speculazione privata.

Il cosiddetto “Centro Lineare”, che avrebbe dovuto ospitare la vita culturale e buona parte dei servizi pubblici, fu prima drasticamente ridimensionato e quindi mai portato a termine, restando una ferita aperta nel cuore del quartiere. Essendo questo uno dei due nodi qualificanti di questo nascente organismo urbano - sia sul piano simbolico che funzionale - una simile precoce sconfitta contribuì pesantemente al naufragio dell'intero programma. Lo sviluppo di questo centro nevralgico era stato addirittura occasione di uno tra i primi processi di progettazione partecipata tentati in Italia. 
Miglior destino toccò all’altro fiore all'occhiello dei sognatori di Spinaceto, il “Parco Campagna” che, presente sin dalle primissime fasi progettuali, potè essere integrato nel quartiere sin dalle prime fondazioni. Ma questo non lo ha messo a riparo dal rischio di incuria e da un'erosione speculativa che vorrebbero notevolmente ridotta - e in parte sta già riducendo - buona parte della sua estensione.

Esattamente da questi spazi potenziali e fragili, ancora capaci di trattenere ed esprimere una forte vocazione ideale e rigenerativa, abbiamo deciso di muovere i nostri desideri, i nostri passi e le nostre azioni.

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