IL 22 APRILE

Questo è l'ultimo passaggio di Ritorno a Spiaceto, di questa prima fase di Menti Locali.
Per tutti noi è stato momento emozionante. non solo perché preludeva al congedo ma perché nei grandi ambienti ipogei della Fondazione Giuliani è accaduto qualcosa che forse non ci aspettavamo accadesse in modo così intenso. Ma andiamo per gradi.

Il 20 aprile prendiamo momentaneo possesso degli spazi della Fondazione, promotrice di questo progetto. La difficoltà di questi ambienti sta nella loro notevole dimensione. Dobbiamo raccontare la nostra esperienza occupando quel vuoto (a fronte di un budget necessariamente contenuto) senza che il nostro racconto vi sparisca dentro. 

Abbiamo le narrazioni, il reportage del laboratorio e della residenza - realizzati con un cellulare, per essere meno invasivi e più agili possibile - e le immagini definitive degli interventi e dei tableaux vivants - realizzate col banco ottico al termine della residenza di produzione - di cui abbiamo deciso di stampare in grande formato la più sintetica. Ma disponiamo anche di tantissime lettere ritagliate dagli stencil con cui abbiamo dipinto le frasi di Morris sui muri del Centro Culturale, e ancora qualche barattolo di terra rossa. Le mappe su cui abbiamo ragionato e lavorato. I nostri corpi. 

Riflettendo insieme sulle caratteristiche di questo spazio espositivo e sugli elementi in nostro possesso, siamo quindi giunti, nel corso della prima giornata, a definire il display. Organizziamo il lavoro in base alla logistica e al tempo a disposizione e ci mettiamo all'opera. Il tempo non è molto e c'è tanto da fare.

All'ingresso organizzeremo un piccolo rinfresco e un primo pannello introduce il progetto. Nell'ambiente successivo le due grandi mappe, posizionate in terra, hanno il compito di contestualizzare il nostro spazio di intervento e - grazie a dei QR code che rimandano a questo stesso blog - di portarne memoria . Nella lunga sala che segue prendono posto - contendendosi il buio e la luce - un tavolo di legno e vetro su cavalletti, in cui componiamo le narrazioni (come fosse un archivio, un centro di documentazione) e una grande protezione con i tableaux vivants, sulla parete di fondo. Di qui si raggiunge altro grande ambiente illuminato sulla cui parete più lunga scriviamo la frase "Il lavoro liberato è diventato creazione artistica e vita naturale" (sintesi poetica del nostro stesso viaggio). In un'annessa stanzetta irregolare nella quale campeggia un monitor, facciamo andare a loop una selezione delle prime tre fasi del laboratorio. Lo spazio successivo lo teniamo buio per ospitare una seconda grande proiezione - questa volta con la sola documentazione degli interventi nel Parco e nel Centro. In una rientranza della stessa un altro monitor ci mostra il reportage della residenza. Sempre da quest'ultimo ambiente si accede a una piccolissima stanza dal basso varco, in cui sistemiamo l'unica foto stampata, adagiata in orizzontale e sotto vetro, su di un piccolo tavolo. Sembra questo il cuore della mostra, quello che si porta l'immagine quasi sacra di un gesto di rifondazione. Sembra.

La mattina di sabato definiamo gli ultimi dettagli e siamo pronti ad accogliere chi verrà a trovarci - sfidando il soleggiassimo ponte del 25 aprile - accompagnandolo attraverso la mostra e il percorso che l'ha alimentata. A questi autentici eroi ed eroine abbiamo anche preparato una sorpresa, senza però immaginare che lo sarebbe stata anche per tutti noi.

Per recuperare in questa sintesi anche il lavoro sui corpi, sulle loro relazioni, interazioni, significazioni, nei due giorni precedenti la mostra decidiamo quindi di preparare un happening che riattivasse l'esperienza "fondativa" sintetizzata nei tableaux vivants. Il tempo a disposizione per preparare questa azione, che prevede necessariamente un buona parte di improvvisazione e una notevole capacità di sentirsi-insieme, non è molto. I ragazzi e le ragazze sono bravi e motivati, ci proviamo. In linea di massima tra le 13 e le 16 gli happening prenderanno corpo al quarto di ogni ora. 

Alla presenza dei primi visitatori (tra cui alcuni amici artisti), verso le 13:15, inizia la prima performance. Piano piano, uno per volta, indossano le lenzuola arancioni e verdi ormai familiari ed entrano magicamente in quella sorta di trance che solo i professionisti riescono a raggiungere e a controllare, e dopo molto, duro lavoro. Chiamatela fortuna dei principianti, chiamatela energia, chiamatela come volete, fatto sta che ciò accade, e tutto piomba in un clima sospeso. Le posizioni, le relazioni, le figure si avvicendano e questa situazione trasmette a tutti i presenti una profonda e inaspettata emozione che sfocia, una volta conclusa l'azione, in un liberatorio applauso e in una grande gioia. I nostri performer in erba ci prendono veramente gusto, e anche negli altri happening danno il meglio di cui sono capaci. 

Tutto quel che abbiamo tentato di passare loro, con tutta la passione, la persuasione e le conoscenze che potevamo mettere a disposizione, ci è tornato indietro con forza e intensità. Lo scambio c'è stato davvero, tutti abbiamo imparato da questo processo e dal dialogo che ha innescato, e non potevamo sperare in una conclusione più bella. Tutto il resto, se dovrà venire e trasformarsi, verrà e si trasformerà, come tanto altro verrà perso e disperso.

Ma questa è un'altra storia (speriamo non troppo distopica)! 
Queste immagini sono state realizzate dal fotografo Federico Di Iorio, dello studio altrospazio

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Segue, ancora una volta, un più prosaico reportage del making-of (realizzato sempre col cellulare):


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